lunedì 24 dicembre 2007

Animal man

Non posso certo parlare, senza annoiare, di tutto quello che è stato scritto di questo supereroe. Non mi è possibile neanche, per mia incapacità forse, parlare compiutamente delle storie scritte dal solo Grant Morrison, alle quali comunque mi riferirò. Voglio invece soffermarmi a parlare di un aspetto che è preponderante nel primo ciclo delle storie scritte da Morrison per Buddy Baker, alias l’Uomo animale (traducendo letteralmente). Non perché questo aspetto sia il solo degno di nota della serie, forse neanche il più interessante e certamente non il più innovativo. Ma di certo è quello che più colpisce un lettore poco avvezzo al mondo dei fumetti, e che è costretto a rendersi conto che non ha a che fare solo con dei ‘tizi in costume’.
Per chi scrive, a qualunque livello, schierarsi, prendere una parte, deve essere a mio parere non solo un diritto, ma anche un obbligo. Ne ho abbastanza di perbenisti che conducono talk show senza dire mai come la pensano realmente. Anche chi deve esprimere un giudizio può avere un’opinione, perché se è una persona onesta e intelligente la sua opinione non inficerà il valore del giudizio. E, anche se dovessi avere un unico, disperato lettore, mi sento in dovere verso questo di essere chiaro nei miei punti di vista. Perché dico tutto questo? Perché quello di cui voglio parlare, e di cui parla Morrison, è un tema molto dibattuto.

Non ho familiarità, anzi ho una vera antipatia, per il termine ‘crociata’, ma purtroppo devo usarlo per parlare di crociata animalista. Questo è il grosso punto focale su cui si snodano le prime storie dell’autore scozzese per Animal man. Non voglio neanche accennare agli spunti, sottotrame e indizi seminati in mezzo a queste storie, e importanti per tutto quello che verrà dopo. Parliamo solo di questo.

Nelle prime storie, Buddy Baker, riavuti i suoi poteri, riprende a piccoli passi la sua carriera di supereroe. In cosa consistono questi poteri? Buddy può interfacciarsi con tutto quello che costituisce il regno animale, dal più piccolo batterio ai grandi mammiferi oceanici, assumendone ogni capacità. E di queste capacità fa anche parte un modo di sentire particolare, a tutti gli effetti ‘animalesco’. Ecco quindi che Buddy comincia a immedesimarsi negli animali macellati per l’industria della carne, o in quelli cacciati di frodo per il commercio delle pelli o dei loro derivati. Comincia a sentire cosa si prova quando un habitat naturale viene devastato per scopi di lucro puramente umani. E non gli sta per niente bene, al punto di buttare tutta la carne che trova nel frigo di casa, con grande disappunto della moglie, e di ergersi a difensore dei diritti degli animali. Questi i dati di fatto. Da questo punto in poi fa tutto parte delle mie opinioni personali.

Non c’è dubbio che le barbarie commesse contro gli animali siano a volte tanto orribili da non poterle nominare. Ma gli estremismi non mi sono mai piaciuti, né in un senso né nell’altro. Diventare vegetariani ad oltranza, rifiutare cibo che contenga anche solo l’odore della carne, come il brodo, mi sembra una scelta che non mi permetto di giudicare, ma che non può essere innalzata a titolo di legge, né imposta ad altri controvoglia. Non mi sentirò mai in colpa se provo piacere a mangiare un filone di pane col salame al mattino appena sveglio. Non condivido in alcun modo la violenza gratuita sugli animali, o anche solo il loro sfruttamento (di cui tra poco farò un paio di esempi che di solito passano inosservati), ma non ci vedo niente di male a cibarmene. Non condivido chi va a caccia solo per il gusto di uccidere, sarebbe più corretto se anche il coniglio avesse un fucile, ma non ci vedo niente di male a cacciare un coniglio e cucinarlo per natale con le patate al forno. Quelli a cui mi riferivo prima sono, ad esempio, i circhi con animali, tenuti in gabbia e a volte maltrattati, e questo lo sappiamo tutti. Ma non sopporto neanche chi mi dice che un buon motivo per avere un cane è portarlo al parco per rimorchiare ragazze. In definitiva, niente da eccepire alle campagne contro l’abbandono o le torture, ma non posso ammettere regole oltranziste che violino la mia libertà. E non mi sentirò mai un criminale o un assassino perché non sono vegetariano.


Un ultimo argomento mi preme sottolineare, perché, in quanto futuro medico, ho qualche volta ricevuto attacchi in questo senso. La scienza ha bisogno di progressi, non tanto per gli scienziati, quanto per tutti quelli che oggi si indignano o si incazzano quando si sentono dire che non c’è soluzione a certe situazioni drammatiche. Ammetto che in passato si sono perpetrate crudeltà inaudite sugli animali, travestite da ‘ricerche scientifiche’, però non possiamo ignorare che ogni piccolo progresso nella scienza medica passa attraverso gli esperimenti sugli animali. Altrimenti ci restano solo due possibilità. La prima è rinunciare a qualunque progresso, e accettare che si continuerà a morire di cancro, AIDS, Parkinson, Alzheimer, ecc., e se questa soluzione fosse stata adottata nel 1928, Alexander Fleming non avrebbe mai scoperto la penicillina. La seconda è ammettere l’utilizzo di cavie umane. In passato si è fatto anche questo, e vorrei ricordare a tutti quelli che dicono che la vita di un ratto e quella di un bambino con la corea di Huntington hanno lo stesso valore, che un ragionamento del tutto sovrapponibile a questo lo faceva circa settanta anni fa un certo dottor Mengele. Per chi non lo conoscesse, provi a fare una ricerca su internet, magari sotto la voce “Nazismo e medicina”.

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