lunedì 24 dicembre 2007

Cose preziose

Eccolo qui, finalmente, il libro che dà il titolo a queste pagine virtuali. Da me citato ovviamente senza alcuna autorizzazione, in puro stile da pirata della rete (non sarà un caso se si dice ‘navigare’), ma con il profondo affetto che mi lega a questo libro. Era inverno, quando ancora in inverno faceva freddo, e io conoscevo già Stephen King, avendone letto altri romanzi, di cui un giorno spero di parlare. Mi colpì subito, impilato per terra insieme ad altri, come era nello stile del vecchio proprietario dell’unica libreria di Cefalù, quel buon Lorenzo Misuraca che tanto rimpiange chiunque nel mio paese abbia la passione per la lettura. Mi dispiace dirlo, ma dalla sua scomparsa quella libreria è diventata inavvicinabile. Ci saranno sì e no un centinaio di libri, metà dei quali sono best-sellers a mio avviso di poco valore e l’altra metà volumi illustrati e fotografici. Chiedere alla commessa un’informazione significa ottenere una sterile lettura di dati ricercati al computer. Ricordo quando, ancora ragazzino ma già appassionato di tutto quello che era ‘carta scritta’, mi trattenevo un’ora o più a parlare con il signor Misuraca, che consigliava libri, aiutava a sceglierli tirandoli fuori dalle pile che affollavano il suo negozio, li recensiva in estemporanea. È buffo, ma non si dovrebbe essere nostalgici a venticinque anni, vero? I ‘grandi’ pensano che noi abbiamo visto troppo poco e da troppo poco tempo per avere nostalgia di qualcosa.

In “Cose preziose” Stephen King dice addio alla sua Castle Rock, immaginaria cittadina del Maine dove aveva già ambientato le vicende di altri romanzi precedenti. E lo fa alla grande, imbastendo una mistura di atmosfere demoniache e sentimentali, tragiche e grottesche.
Sulla vetrina di un negozio del paese un bel giorno compare un cartello con scritto

APERTURA IMMINENTE!
COSE PREZIOSE
UN NEGOZIO COME NON SI ERA MAI VISTO
“Non crederete ai vostri occhi!”

Chiunque lo veda non può fare a meno di chiedersi che cosa potrà mai vendere un negozio che si chiama così. E, quasi attirati da un malefico magnetismo che cattura l’attenzione di chiunque ci passi accanto, tutti i cittadini finiscono per capitarci dentro, e finiscono per vedere qualcosa che desiderano da sempre. Qualcosa che devono avere a qualunque costo. E Leland Gaunt, il misterioso e inquietante negoziante, sembra cucire su misura per ognuno di loro un prezzo irresistibile per l’oggetto desiderato. A patto che l’acquirente accetti di fargli un piccolo favore… E ognuno esce del tutto soddisfatto, e ignaro del vero prezzo che ha pagato per un oggetto che ha valore solo ai suoi occhi. Toccherà allo sceriffo Alan Pangborn far fronte alla pazzia che dilagherà in città, mentre il signor Gaunt, con un ghigno sornione, si gode lo spettacolo di burattini che ha messo su.

L’horror mi ha sempre affascinato molto, ho letto con trepidazione e avidità i grandi classici come “Frankenstein”, “Dracula”, “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signo Hyde”, nonché alcuni racconti di Edgar Allan Poe e H. P. Lovecraft. Ero parecchio scettico sull’horror moderno, credevo che non avrebbe mai avuto il fascino dei grandi temi dell’orrore già narrati nei classici. Mi sono dovuto ricredere leggendo i romanzi di King. Un orrore particolare, il suo, intimista, psicologico, direi quasi empatico, piuttosto che materiale e fisico come era quello cui ci aveva abituato il cinema degli ultimi anni. Un orrore che quasi sempre si annida nella mente dei protagonisti piuttosto che in strani esperimenti o truci omicidi. Un orrore che tiene incollati al libro, una pagina dopo l’altra, non importa quante centinaia queste siano, passeranno comunque in un lampo.
Avrò occasione di riparlarne, forse a proposito di altri romanzi di King, che ho una gran voglia di condividere con i pochi sventurati che leggono queste pagine. Per adesso, buona lettura a tutti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Il mio libro preferito...