giovedì 1 maggio 2008

One Piece

I fumetti raccontano storie. E le storie hanno tante funzioni. Una è quella di intrattenere, di far passare il tempo. Poi c’è quella di divertire. Molto spesso, le storie trasmettono un messaggio. E poi, a seconda di chi è la persona che le legge, hanno il potere di far sognare. Nella mia libreria ci sono circa duemilatrecento albi a fumetti, la maggior parte dei quali compongono delle serie. Ce ne sono di tutti i tipi: americani, italiani e giapponesi; comici, romantici, avventurosi, fantascientifici e horror. Alcuni portano messaggi seri e profondi, altri sono spensierati e allegri. Tutti mi lasciano dentro qualcosa ogni volta che li leggo. Un po’ come fanno i libri. Perché tutto questo preambolo? Perché stavolta non parlerò di una storia, di una serie o di un messaggio in particolare. Voglio sfruttare questa prima ristampa di “One Piece” per ricordare qualcosa. Dirò soltanto che One Piece è la storia di un sogno, anzi di più sogni, uno per ognuno dei protagonisti. C’è chi vuole diventare il re dei pirati, chi lo spadaccino migliore del mondo, chi vuole trovare il coraggio, chi vuole disegnare la mappa del mondo, chi vuole trovare il cuore del mare dove vivono delle specie uniche di pesci, chi vuole diventare un grande medico. Sogni. Come quelli di tutti noi. Forse potrà sembrare un fumetto di poco valore, non fa altro che raccontare le peripezie di un gruppo di personaggi che vanno in giro per il mondo in cerca di avventure, affrontando nemici pittoreschi e dandosele di santa ragione dicendo battute stupide. Sfogliandolo con superficialità è così. D’altronde, non stiamo certo parlando di “Maus”, o di “Persepolis”, o di “V for Vendetta”. Nessun messaggio politico, sociale o morale emana dalle pagine disegnate da Eiichiro Oda. Però qualcosa mi colpisce quando lo sfoglio. Mi sembra di tornare a sognare. Ritrovo per qualche momento la mia infanzia, quando il mondo era un luogo da esplorare, quando le giornate trascorrevano tirando frecce contro gli alberi, o scavando buche nel terreno, o costruendo baracche di tavole. E ad un tratto, quegli alberi erano eserciti di nemici, quelle buche erano misteriose città sotterranee, quelle baracche erano rifugi segreti in cui custodire tesori. Poi accade qualcosa, si cresce, ed è giusto farlo, è un nostro dovere. Le sfide diventano laurearsi, un’indipendenza, per alcuni la famiglia. Il mondo smette di essere quel luogo misterioso e inesplorato che si vedeva dalla finestra di casa, le mattine d’estate, quando ci si alzava per correre fuori a dare calci ad un vecchio pallone. Adesso, tutto ciò che vuoi vedere lo trovi su internet, o mal che vada, in un’agenzia di viaggi. Per questo, trovare qualcosa che ci faccia tornare a quei tempi non è una cosa da sottovalutare. Anche quelle storie grottesche e un po’ stupide, se riescono a farci di nuovo sognare, sono cose preziose.

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