domenica 7 settembre 2008

La solitudine dei numeri primi

Odio i libri prestati. Mi sembra che mi rubino qualcosa. Non so spiegarlo bene, ma la sensazione che provo ad appoggiare le dita su pagine che non sono mie non è piacevole. Quanto meno, non è la stessa cosa di quella che provo con i libri miei. Inoltre, per quella maledetta mania compulsiva che mi obbliga a possedere fisicamente le cose che mi piacciono, ora dovrò comprarlo per posarlo senza neanche averlo aperto. Perché in effetti mi è piaciuto. Me ne aveva parlato una cara amica, qualche tempo fa, ma io ho la tendenza a dimenticarmi di queste cose se non le fisso nella memoria toccandole con mano. Pochi giorni prima delle vacanze, ci siamo visti, e lei lo aveva portato per prestarmelo. “L’ho letto in due giorni, e io ci metto un po’ a leggere i libri, di solito”, mi aveva detto sorridendo. L’ho messo nello zaino dando solo uno sguardo alla copertina, senza neanche leggere il risvolto interno. In fondo, mi fido del suo giudizio, non credo le possa piacere un libro che a me non piacerebbe. Tra l’altro, mi faceva pure comodo, perché quest’anno, essendo come sempre a corto di soldi, non avevo fatto la mia consueta spesa estiva in libreria, e non avevo niente da portarmi in paese oltre al libro che avevo già iniziato. L’ho cominciato senza troppa voglia, un pomeriggio in cui c’era troppo caldo per fare qualsiasi altra cosa, ma purtroppo alcuni impegni e delle belle giornate mi hanno impedito di battere il record: ci ho impiegato ben tre giorni a leggerlo, visto che leggevo solo la sera. Il primo pensiero, tornando in città, sarà andare a comprarlo e trovargli posto nella libreria di casa.

I numeri primi sono quelli divisibili solo per uno e per se stessi. Tra questi, ce ne sono alcuni un po’ particolari, che i matematici chiamano numeri primi gemelli, perché sono separati solo da un numero pari, come 3 e 5 o 17 e 19. Paolo Giordano tradisce un po’ il suo animo di fisico, anche se questa speculazione ce la saremmo aspettata di più da un matematico puro. È molto interessante però l’accostamento tra questo concetto numerico e due vite ai margini del mondo, i due protagonisti del romanzo, Alice e Mattia. Alice odia il suo corpo. Non solo la sua gamba zoppa a causa di quell’incidente sugli sci quando era piccola, ma tutto il suo essere. Vorrebbe vedersi trasparente. È per questo che a tavola ammucchia il cibo nel tovagliolo per poi buttarlo via. Mattia odia se stesso. Aveva una sorella, da piccolo, ritardata. Doverle stare accanto lo metteva costantemente a disagio, si sentiva escluso dagli altri amici. Ma a quella festa voleva proprio andarci senza averla tra i piedi. Che poteva succedere a lasciare Michela da sola nel parco per un paio d’ore? Quando Michela sparisce, data per morta annegata nel fiume, qualcosa di malato cresce nella testa di Mattia, lo isola dal resto del mondo, come se quel difetto fosse passato da Michela a lui.

Una anoressica zoppa e un quasi autistico. Ecco le vite ai margini del mondo, che gli eventi avvicinano nel corso della vita, fino a farli diventare più che semplici amici. Forse, Alice e Mattia sono come due numeri primi gemelli, molto vicini ma mai abbastanza da potersi toccare. Le altre persone, le esperienze, i lavori, i viaggi, non saranno sufficienti a spezzare questo legame distorto che si instaura tra i due. Due scarti della vita che non pretendono niente l’uno dall’altro, perché nessuno dei due sembra avere molto da dare e nessuno dei due si sente in diritto di ricevere.

È un bel romanzo. Anzi, per essere il romanzo d’esordio di un autore che è nato nel mio stesso anno, è anche troppo bello. Le tragedie di questi due esseri vengono messe a nudo in maniera esplicita, ma senza la morbosità di chi ha piacere nel leggere o nel raccontare disgrazie, seppure inventate. E accanto a queste, ci sono momenti di grande tenerezza e sentimentalismo, soprattutto nelle pagine che parlano della vita adulta dei protagonisti, in cui i rapporti con l’altro sesso diventano un impacciato dovere piuttosto che un’affermazione piacevole di se stessi. Solo una cosa non mi è piaciuta. Non che io avrei saputo fare di meglio, intendiamoci, però sento che, per la mia sensibilità, c’è un elemento che manca. Ma è difficile descriverlo, perché il mio è più che altro un accenno di sensazione, piuttosto che un elemento realmente tangibile. È come se manchi un happy ending. In nessuna delle vite narrate nel romanzo, dai protagonisti ai comprimari, c’è uno sprazzo di felicità, un barlume di allegria. Che non ci sia per Alice e Mattia è comprensibile, è la storia delle loro vite a metà, un lieto fine del tipo “... e vissero per sempre felici e contenti” non ci stava affatto. Ma neanche gli altri personaggi si meritavano una speranza? Penso al fotografo che dà lavoro ad Alice, attratto da lei come la volpe dall’uva, che stavolta più che acerba si rivela marcia. Penso a Nadia, attratta da Mattia, che è disposta a concedersi se solo lui mostrasse un minimo trasporto nei suoi confronti, e che lo vede partire al richiamo di una lettera. E come questi potrei fare altri esempi. È un bel romanzo. Peccato che manchi di quel minimo di speranza che tutti si meritano. Perché, a dispetto di quanto dice Alice, non è poi così facile rialzarsi da soli.

Mattia tossì piano nella mano chiusa a pugno, per scaldarla. Percepiva l’urgenza di Nadia, ma non sapeva decidersi. E anche se avesse deciso, pensava, non avrebbe saputo come fare. Una volta Denis, parlando di sé, gli aveva detto che gli approcci sono tutti uguali, come le aperture negli scacchi. Non bisogna inventarsi niente, non serve, perché tanto si è in due a cercare la stessa cosa. Poi il gioco trova da sé la sua strada ed è solo a quel punto che ci va la strategia.Ma io non conosco neppure le aperture, pensò.

2 commenti:

Fra ha detto...

A me è piaciuta proprio l'assenza dell'happy ending...perchè da demoni come quelli che perseguitano i protagonisti è impossibile liberarsi completamente, si può solo imparare a conviverci.
Un abbraccio
Fra

Adryss ha detto...

Che piacere rivederti da queste parti... Che dire, ognuno di noi si aspetta cose diverse quando legge un libro... non so bene perchè, non sono uno di quelli per cui una storia deve andare per forza secondo un certo stile, mi piacciono le innovazioni. Però in questa storie, mi è mancato un minimo di speranza. Alla prossima...