lunedì 1 giugno 2009

Un pezzo da galera

Era la primavera di qualche anno fa, non ricordo esattamente quando, e le giornate cominciavano a farsi più piacevoli, in campagna. Ricordo che mio padre stava trafficando in magazzino e ogni tanto aveva bisogno di aiuto per spostare qualcosa di pesante, così io mi sedevo per terra con le spalle contro il muretto di un’aiuola, e leggevo. Avrei potuto lasciar stare il libro per quando non avessi avuto altro da fare, ma non so perché mi aveva coinvolto al punto che non volevo fare pause troppo lunghe nella lettura. Il libro in questione era “Un pezzo da galera”.

Come sempre, quando si tratta di un romanzo di Vonnegut, niente è come sembra. Walter F. Starbuck è figlio di poveri immigrati, che grazie al (o forse sarebbe meglio dire per colpa del) datore di lavoro dei genitori viene mandato ad Harvard. Non si può dire che sia uno studente brillante, ma nemmeno uno dei peggiori. Fin da allora, Walter comprende che la sua vita è destinata ad essere nella media. Studio nella media, lavoro nella media, amori nella media. Per amore si iscrive al Partito Comunista, e per ingenuità tradisce un collega e amico denunciandolo ai tribunali maccartisti. Licenziato e poi riassunto dal governo federale, finisce per fare fotocopie in uno scantinato umido e buio, in un ufficio che fa parte dell’amministrazione Nixon. Quando scoppia lo scandalo Watergate, per uno stupido orgoglio preferisce stavolta la galera piuttosto che collaborare con la magistratura rivelando quel poco che sa. Ed è proprio da un carcere di minima sicurezza, uno di quelli per ‘colletti bianchi’, che ascoltiamo il racconto di qualche decennio di storia americana. Un racconto fatto alla maniera di Vonnegut, con ironia, sarcasmo, cinismo e romanticismo allo stesso tempo, in cui si sorride per l’amarezza e si piange per l’allegria. Leggendo tra le righe, spunta prepotente la critica amara a quel sistema di vita americano, che ormai potremmo dire essere occidentale, e di cui l’autore stesso sa di fare inevitabilmente parte, affiancata dall’analisi spietata dei rapporti sentimentali e di amicizia, e dalla denuncia dei sistemi violenti delle forze dell’ordine. Ma possiamo anche leggerla semplicemente come l’autobiografia di un uomo che sa che al sua vita è dominata dal caso. Nulla o quasi di quello che gli è successo è scaturito dalla sua volontà. E forse, quella del caso è l’unica vera legge che regola il mondo degli uomini.

La cosa più imbarazzante per me, riguardo questa autobiografia, è che, a ogni piè sospinto, si dimostra che non sono mai stato una persona seria. Ho passato un sacco di guai, nel corso degli anni, ma sempre per caso. Non ho mai rischiato la vita, né le mie comodità, al servizio del prossimo. Vergogna!

2 commenti:

Fra ha detto...

Di questo autore ho letto solo mattatoio n°5 e l'ho trovato un libro straordinario. Credo che anche questo sarebbe una lettura illuminante
Un abbraccio
fra

Adryss ha detto...

Io li ho letti tutti e sono uno meglio dell'altro. Vonnegut sa come rendere le parole vive. Dovrei dire sapeva, ma per me uno che scrive libri come i suoi non morirà mai!