giovedì 2 luglio 2009

Sotto i venti di Nettuno

Il protagonista di un romanzo giallo è il buono. Questa è forse l’unica certezza che il lettore ha quando apre la prima pagina di un libro di questo genere. Che sia un poliziotto, un avvocato, un chimico o qualcos’altro, è sempre un buono. Magari avrà aspetti particolari del carattere che lo potranno avvicinare più o meno alla linea di separazione tra bene e male, potrà avere qualche sfaccettatura oscura o qualche ombra nel passato, ma in ogni caso è lui che è chiamato a opporsi al male, nella storia. In questo romanzo, però, questo discorso non fila così bene come dovrebbe.

Tutti quelli che hanno letto qualcosa di Fred Vargas conoscono benissimo Jean-Baptiste Adamsberg. I suoi alti e bassi, i suoi accessi di irrazionalità, la sua costante lotta con la logica che rifiuta come sistema di interpretazione del mondo. Uno spalatore di nuvole, insomma, non c’è altro modo per definirlo. Uno che, per incriminare una persona, segue il filo delle sue sensazioni e intuizioni, invece che dei fatti. E ci azzecca quasi sempre. Stavolta però Adamsberg si trova alle prese non con un qualunque delinquente, non con un semplice uomo, ma con un diavolo. Il diavolo. Nelle sembianze terrene del giudice Fulgance, che uccide con il suo tridente. Un diavolo che lo perseguita fin da quando era poco più che un ragazzo, quando commise un omicidio facendo accusare il fratello di Adamsberg, allora appena entrato in polizia. E da allora i ruoli di cacciatore e preda si sono più volte scambiati tra questi due personaggi, lungo un sentiero lastricato di cadaveri uccisi dal giudice e dal suo tridente. Stavolta Adamsberg ha fatto il passo più lungo della gamba. È andato a frugare troppo da vicino negli affari del giudice, va fermato. Ma uccidere uno sbirro non può certo bastare per la soddisfazione del diavolo, lui vuole distruggerlo, sprofondarlo in un’angoscia e in un tormento dal quale non riuscirà a tirarsi fuori. E quale migliore tormento, per un uomo come Adamsberg, del dubbio di essersi trasformato in un assassino? Quelle due ore di totale amnesia trascorse su un sentiero gelato del Quebec assilleranno il commissario durante la sua fuga dal Canada, il suo nascondersi nei meandri di Parigi, la sua caccia al vero colpevole. Di chi fidarsi, a questo punto? Di Danglard e dei suoi uomini? Ma potrebbe esserci una talpa, nella Squadra Anticrimine del quattordicesimo arrondissement di Parigi. Della polizia canadese? Neanche a parlarne. L’unica sua speranza è un’anziana signora, Josette, che si muove nei sotterranei di internet calzando scarpe da tennis colorate!

Un romanzo incalzante, sebbene distensivo, che non ti lascia il tempo di finire un capitolo per il desiderio di cominciare il successivo, ma che ti dà il tempo di apprezzare ogni parola delle sue quasi quattrocentocinquanta pagine. E solo all’ultima, quando finalmente i venti di Nettuno smetteranno di soffiare, noi lettori potremo tirare un sospiro di sollievo.

Danglard scosse il capo, confuso e insieme scioccato. Poi l’assurdità onirica della situazione gli parve talmente piacevole che un puro sentimento di allegria gli spazzò via il malumore. Si sentì colmo di gratitudine nei confronti di Adamsberg che, oltre a non essersi offeso per i suoi insulti, quella sera gli regalava del tutto involontariamente una insolita parentesi di stravaganza. E solo Adamsberg era capace di spremere la vita di tutti i giorni per ricavarne quelle piccole follie, quei rapidi scorci di bellezza stralunata. Poco importava, allora, che lo strappasse al sonno per trascinarlo con un freddo pungente davanti a Nettuno, a mezzanotte passata.

4 commenti:

Fra ha detto...

sembra davvero avvincente!
grazie per il consiglio
Un abbraccio
fra

Adryss ha detto...

Sempre lieto di servire la causa della buona lettura! ^^ Un bacio...

Yama ha detto...

Cavoli! Io pensavo invece che fossi già uno strutturato! Allora salve collega. E complimenti per il traguardo ormai quasi raggiunto.
Io non mi chiamo Yama (ovviamente), mi chiamo Rita. Tuttavia, visto che è il mio soprannome da molto tempo e ci sono affezionata per motivi sentimentali, preferisco essere chiamata così. Ne ho altri, ma questo è quello di uso comune.
Non ha nulla a che fare con Tex. In realtà è il diminutivo di Yamanouchi, che è poi il nome di una casa farmaceutica di cui avevo un bloc notes promozionale al liceo - sai, le solite vaccate che danno ai medici. Ad ogni modo, per via di quel coso la mia migliore amica cominciò a chiamarmi così, abbreviandolo poi in Yama. Poi si è diffuso e anche io ho cominciato a firmarmi così.
Ciao!
Ps: mi sono ricordata cosa dovevo scrivere ieri! Sai il discorso sul dolore, sul rimorso, sull'ambiente in cui vivono i medici? Beh, non so se sia reale o meno, ma io giustifico con questo il fatto che molti medici e/o studenti di medicina (io inclusa, e me ne vanto anche) sono Nerd: appassionati di fumetti, libri (soprattutto fantasy, ma ad ogni modo libri), film, videogiochi, giochi di ruolo e cose simili.
Se ci fai caso sono tutte cose che ti portano in una realtà diversa da quella che viviamo ogni giorno, e credo che noi più di tutti a volte ne sentiamo il bisogno.
A presto

Adryss ha detto...

Sono d'accordo con te, anche se essere appassionati di libri, fumetti e videogiochi non vuol dire per forza cercare di perdere il contatto con la realtà. Ho trovato molta realtà nei fumetti e nei libri, a volte più che in alcune persone. E ci sono molti modi di essere appassionati, ma questo è un discorso lungo.

Alla prossima! ^^

PS: Strutturato?? Sembro davvero così grande da quello che scrivo? In realtà sono diversi anni che sono interno in reparto, per questo forse ho un po' più esperienza di altri colleghi. Ci si sente, ^^